Bonarda Piemontese
di G. Dalmasso, M. Cacciatore ed A. Corte
da "Bonarda", in Principali vitigni da vino coltivati in Italia - Volume III, Ministero dell'Agricoltura e delle Foreste, 1964

Sinonimi (ed eventuali errati)

Fra i vitigni piemontesi da vino è questo, se non fra i maggiori, certo uno di quelli che hanno dato più lavoro agli ampelografi. Tanto che anche qualche esimio studioso di viticoltura è caduto in errore, o è rimasto incerto, in fatto di sinonimie ed omonimie. Lungo sarebbe voler citare tutti coloro che si occuparono dei vitigni di questo nome. Ci limiteremo qui a ricordarne i maggiori fra coloro che scrissero su quelli che rientrano nel nostro compito. Ma anzitutto è necessario che precisiamo che cosa intendiamo (e riteniamo si debba intendere) per "Bonarda": cioè quale vitigno possa portare con piena legittimità questo nome. Ciò siamo in grado di dire oggi, grazie a ripetuti confronti fatti tra i vari vitigni omonimi coltivati in diverse, e anche non limitrofe, provincie. E' però doveroso dire subito che anche in questo caso l'occhio acuto e la consumata esperienza del Conte G. di Rovasenda avevano già più di ottant'anni or sono districato questo groviglio ampelografico in uno scritto oggi dai più ignorato, ma a suo tempo preso in attenta considerazione dai maggiori ampelografi del secolo scorso. Egli dunque, in un articolo su la "Bonarda" del 1873 aveva messo in evidenza che fin d'allora in Piemonte si coltivavano due vitigni ben distinti: uno, che nella monografia pubblicata vari anni dopo nell' "Ampelografia Italiana", probabilmente scritta dallo stesso Di Rovasenda, venne designato come "Bonarda Piemontese", e che egli chiamava anche "dell'Astigiano e Monferrato"; l'altro [Omissis].

Descrizione Ampelografica

Per la descrizione ampelografica che segue, i cloni furono scelti nel comune di Chieri (prov. di Torino) e nel comune di Castelnuovo Don Bosco (prov. di Asti). Non si rinunciò tuttavia a confrontare i caratteri di detti cloni con quelli di altri ceppi posti negli stessi e in altri vigneti di altri Comuni, ma in nessun caso si riscontrarono differenze degne di rilievo, se non per quanto concerne lo sviluppo più o meno vigoroso attribuibile a circostanze d'ambiente o di coltivazione. [Nota: nell'insieme le viti di "Bonarda" presentano, a colpo d'occhio, un aspetto abbastanza caratteristico, dovuto alla mescolanza sia di foglie che di grappoli di varie forme e dimensioni (presenti sullo stesso ceppo)]

Germoglio di 10-20 cm

Figura 1: Apice di Bonarda Piemontese.

Apice: vellutato; bianco con sottile orlatura e lievi sfumature di carminio.

Foglioline apicali (dalla 1a alla 3a): generalmente piegate a coppa. Tomentose, ma con tomento in rapida diminuzione dall'alto in basso; la pagina superiore è appena cotonosa nella prima fogliolina, scarsamente lanugginosa nella seconda, quasi glabra nella terza dove si notano solo rari e lievi peli striscianti; la pagina inferiore è feltrata nella prima fogliolina, cotonosa nella seconda e quasi lanugginosa nella terza. Colore: passante rapidamente sulla pagina superiore dal verde biancastro, con lievi sfumature di carminio nella 1a fogliolina, al verde tenero con riflessi bronzati chiari nella 2a e spesso anche nella 3a, dove però a volte il verde è più deciso; e sulla pagina inferiore, dal bianco con lievi sfumature di carminio (1a fogliolina) al bianco-verdastro con ancora qualche lievissima sfumatura (2a fogliolina), al verde biancastro senza sfumature (3a fogliolina). Sempre sulla pagina inferiore, le nervature di 1° e di 2° ordine spiccano fin dalla prima fogliolina per il color verde e la scarsissima tomentosità. Picciolo interamente rossastro.

Foglioline basali (dalla 4a in poi): generalmente piegate a coppa. Poco tomentose; la pagina superiore è glabra e molto scarsamente aracnoidea; la pagina inferiore è per lo più scarsamente lanugginosa e glabra o quasi nell'ultima fogliolina. Colore: verde tenero o verde bottiglia sulla pagina superiore; verde chiaro sulla pagina inferiore; dove le nervature di 1° e 2° grado sono rilevate, aracnoidee, verdi. Picciolo interamente rossastro.

Asse del germoglio: per lo più leggermente ricurvo (talvolta però eretto); glabro; di colore rossastro sulla parte soleggiata, verde lucido sulla parte opposta. Il colore rossastro è più carico sui nodi, dove spesso si espande anche posteriormente fasciando il germoglio.

Germoglio alla fioritura

Apice: espanso (a ventaglio); vellutato, bianco con orlo carminato e lievi sfumature pure carminate.

Foglioline apicali: generalmente piegate a gronda le prime due, spiegata la terza. Tomentosità scarsa sulla pagina superiore, che è lanugginosa, con intensità rapidamente degradante col passare dalla 1a alla 2a ed alla 3a fogliolina, mentre spiccano, perché del tutto glabre, le dentellature marginali; pagina inferiore interamente coperta come da un sottile velluto fine ed uniforme. Colore: pagina superiore verde biancastra con diffuse sfumature rossicce sulla 1a, sulla 2a e spesso anche sulla 3a fogliolina; pagina inferiore bianca con le punte delle dentellature carminate e con le nervature di 1° e 2° ordine (talvolta anche quelle del 3°) che risaltano per il color verde e perché solo scarsamente aracnoidee. Picciolo rossiccio

Foglioline basali: spiegate; glabre sulla pagina superiore; finemente cotonose sulla pagina inferiore. Colore: verde (talora con lievi macchie rossicce variamente sparse) sulla pagina superiore; verde biancastro sulla pagina inferiore.

Tralcio erbaceo: sezione trasversale circolare; contorno angoloso; glabro; colore rosso dal lato soleggiato, verde lucido uniforme dal lato opposto; il rosso più diffuso, e un po' più intenso verso l'alto.

Viticci: distribuzione intermittente (formula: 0-1-2-0-1-2...); bifidi o trifidi; lunghi; grossi; rossicci da un lato, con maggior intensità verso la base.

Infiorescenza: grande o più che media (lunghezza cm 16-20); piramidale o conica, per lo più alata. Vi sono anche (ed abbastanza numerose) delle infiorescenze piccole ed altre molto grandi e ramificate.

Fiore: bottone globoso tendente al cilindroide, di media grossezza; fiore ermafrodita, autofertile; corolla verde, aprentesi normalmente a cappuccio.

Figura 2: Foglia di Bonarda Piemontese.

Foglia adulta: forma orbicolare; grandezza: media o piuttosto grande (da cm 15 x 14-15 a cm 19 x 18-19) con prevalenza di quelle piuttosto grandi. 3-lobate o 5-lobate, con prevalenza delle 3-lobate (talvolta si hanno foglie intere o quasi). Seno peziolare ad U o a lira, ma d'aspetto quasi sempre irregolare per difettosa conformazione dell'uno o dell'altro o di entrambi i lati; talvolta un lato o anche entrambi sono forniti di un dente. Seni laterali superiori: poco profondi nelle foglie 3-lobate, profondi in quelle 5-lobate; nelle 3-lobate sono generalmente a V aperto, ma compaiono anche altre forme e spesso i due seni di una stessa foglia sono disuguali (uno a V aperto, l'altro a V stretto con bordi paralleli, ecc.); nelle foglie 5-lobate i seni laterali superiori sono a lira, o a lira chiusa, o chiusi con bordi sovrapposti, ed anche questi sono spesso differenti l'uno dall'altro sulla stessa foglia. Seni laterali inferiori: nelle foglie 5-lobate i seni laterali inferiori sono generalmente poco profondi ed a V aperto, ma anche qui possono comparire altre forme e sovente si ha differenza tra i due seni di una medesima foglia (uno a V aperto, l'altro a V stretto con bordi paralleli, o uno a V stretto e l'altro quasi mancante, ecc.). Tomentosità: pagina superiore glabra; pagina inferiore ricoperta d'un leggero tomento per lo più raro, sino a farla apparire scarsamente lanugginosa o anche solo aracnoidea, ma che interessa in modo uniforme tutta la superficie, comprese le nervature, di cui solamente quelle di 1° ordine si presentano glabre in vicinanza del punto di inserzione sul picciolo. Lembo: quasi sempre con pieghe localizzate ai margini e più sovente in vicinanza dei seni laterali superiori, ed a volte anche con increspature presso l'inserzione sul picciolo. Lobi: piani o leggermente ondulati; angolo alla sommità dei lobi terminali generalmente acuto (in qualche caso ottuso). Denti laterali mediamente pronunciati; in prevalenza sensibilmente regolari, su due ordini di grandezza, più raramente irregolari con margini ora rettilinei, ora convessi, ora concavi da un lato e convessi dall'altro; mucronati; in grande prevalenza a base stretta. Colore: pagina superiore per lo più verde cupo (alla vendemmia, con orli sovente rossicci); con nervature principali un po' chiare; pagina inferiore di un verde più chiaro (quasi verde oliva) con nervature principali anche più chiare e lievemente sfumate di rosso vinoso all'inserzione sul picciolo. Lucentezza: opaca. Nervature di 1°, 2° e 3° grado alquanto sporgenti nella pagina inferiore, ed un po' sporgenti anche le nervature minori.

Picciolo: corto o medio (da 2/3 a 4/5 della nervatura mediana), grosso, glabro, a sezione trasversale con canale non evidente, di colore rosso vinoso qua e là più carico e per lo più interessante tutto l'organo.

Colore autunnale del fogliame: con larghe chiazze di rosso vivo e di giallo, sul fondo verde che va scomparendo.

Figura 3: Grappolo di Bonarda Piemontese.

Grappolo a maturità industriale: i grappoli normali sono più che medi o grandi (lungh. cm 16-20), piramidali o conici, alati (talvolta anche con tre ali), mediamente compatti, ma più tendenti a spargoli che a compatti. Sono però abbastanza numerosi anche i grappoli meno che medi e di forme varie, ma anche (notati specialmente a Castelnuovo Don Roseo) quelli molto grandi e ramificati. Rachide lunga e forte; peduncolo semilegnoso, lungo da 1/4 ad 1/3 del grappolo, semilegnoso, di grossezza appena media.

Acino: medio; rotondo o lievemente ellissoide; ombelico persistente, ma poco visibile, confondendosi col colore della buccia; sezione trasversale regolare, circolare; buccia ben pruinosa, piuttosto spessa, resistente, un po' coriacea; colore nero-violaceo regolarmente distribuito; succo lievemente colorato in rosso; polpa succosa, molle; sapore semplice, zuccherino; pedicello medio; verde; cercine evidente, rosso scuro; pennello corto, incolore e trasparente, con qualche fibra rossa nell'interno; separazione del pedicello dall'acino un po' difficile.

Vinaccioli: generalmente uno solo per ogni acino, talvolta però due ed anche tre. Nessun acino ne è privo. Essi sono di media grossezza di color bruno-rossastro; piriformi, però con la parte inferiore quasi globosa e sormontata da un becco piuttosto lungo e non appuntito.

Tralcio legnoso: lungo, di media robustezza, elastico, generalmente poco ramificato (vi sono però eccezioni); corteccia aderente, resistente; sezione trasversale circolare; superficie striata, non pruinosa; meritalli lunghi in media cm 10-14, di color nocciola con varie gradazioni (da nocciola chiaro fino a rossiccio) e non sempre uniforme sullo stesso meritallo; con grosse punteggiature rugginose irregolarmente distribuite; nodi appiattiti, non molto evidenti, in generale un po' sporgenti posteriormente, di colore più carico che sui meritalli. Gemme arrotondate, a base larga ed appuntite, per lo più poco sporgenti; cercine peziolare largo, irregolare; diaframma generalmente sottile, a facce concave; midollo di diametro circa metà di quello del tralcio.

Tronco: di media robustezza o piuttosto robusto.

Fenologia

Condizioni d'osservazione: dati relativi al clone in provincia di Torino, nel comune di Chieri, in località Roaschia-Vallerò (A) ed a quello in provincia di Asti, comune di Castelnuovo Don Bosco, Cascina Sussambrino (B).

Ubicazione

Longitudine: 4°36' O di Roma (M. Mario) (A); 4°28' O di Roma (M. Mario) (B).

Latitudine: 45°14' N circa (A); 45°14' N circa (B).

Altitudine: m 280 s.l.m. (A); m 255 s.l.m. (B).

Esposizione: sud-ovest (A); sud-est (B).

Portinnesto: Rupestris du Lot (A); Berl. x Rip. 420/A.(B).

Età delle viti: anni 15 (A); anni 35 (B).

Sistema d'allevamento: a filari (localmente detti "taragne") (A); a filari (localmente detti "taragne") (B).

Forma di potatura: tipo Guyot, con due capi a frutto incurvati leggermente ad archetto (A); tipo Guyot con un solo capo a frutto incurvato leggermente ad archetto (B).

Terreno: di collina, a pendio leggero; argilloso, compatto, assai povero di calcare (A).

Fenomeni vegetativi

Germogliamento: prima quindicina di aprile (più spesso prima decade).

Fioritura: tra l'8 e il 15 giugno.

Invaiatura: prima decade d'agosto.

Maturazione dell'uva: seconda epoca (generalmente nell'ultima decade di settembre).

Caduta delle foglie: dal principio di novembre in poi: le foglie, anche secche, rimangono a lungo sulle viti.

Caratteristiche ed Attitudini colturali

Vigoria: media o più che media. La "Bonarda" si dimostra adatta per sistemi di potatura tipo Guyot, con un solo capo a frutto di 8-10 gemme, come norma. Le convengono quindi la disposizione a filari e la potatura tipo Guyot in uso nel Chierese e nell'Astigiano. Allorché la vite è divisa in due branche portanti ciascuna un tralcio fruttifero, avviene facilmente di notare una vegetazione di vigoria appena media od anche un po' depressa, una lignificazione un po' stentata della porzione terminale dei tralci, una produzione di grappoli piuttosto piccoli e appena medi, che stentano a raggiungere la completa maturazione. I grappoli grandi (anche ramificati) e ben maturi sono propri delle viti con un solo tralcio fruttifero.

Posizione del primo germoglio fruttifero: generalmente sul 3° nodo, ma talvolta anche sul 2° o sul 1°.

Numero delle infiorescenze sul germoglio: normalmente due, talvolta una sola (talvolta anche tre).

Resistenza alle malattie ed alle avversità: la "Bonarda" è più sensibile alle brinate della Freisa. Ha un comportamento soddisfacente nei riguardi dell'oidio, un po' meno alle tignuole dell'uva e al marciume degli acini; è invece molto sensibile alla peronospora, tanto che viene considerata "vite spia" per la comparsa di tale malattia. Nelle primavere sfavorevoli va piuttosto soggetta all'acinellatura e anche alla colatura.

Comportamento all'innesto: dimostra buona affinità coi portainnesti oggi più usati (un tempo 3309; oggi piuttosto Kober, 420 A, 161-49).

Utilizzazione

La "Bonarda" ha essenzialmente i caratteri di uva da vino e come tale è utilizzata in misura preminente; ma il suo sapore zuccherino assai gradevole ed il bell'aspetto dei suoi grappoli le conferiscono un abbastanza largo credito anche come uva da consumo diretto, tanto che non mancano i casi di modeste coltivazioni fatte principalmente a tale scopo.