Uva Rara
di G. Dalmasso, M. Cacciatore ed A. Corte
da "Uva rara", in Principali vitigni da vino coltivati in Italia - Volume II, Ministero dell'Agricoltura e delle Foreste, 1962

Sinonimi (ed eventuali errati)

Anche per l'"Uva Rara" (come per la "Vespolina" o "Uvetta") possiamo dire che è uno dei vitigni che hanno una sinonimia più complicata e discutibile. Se il nome di "Uva Rara" è comune in provincia di Pavia (specialmente nell'Oltrepò pavese), in provincia di Novara (dove oggi è, insieme con la "Creatina", uno dei due vitigni più diffusi e coltivati nella parte collinare) lo si chiama più comunemente "Bonarda" e lo stesso dicasi per la zona collinare della prov. di Vercelli (che, come è noto, fino a non molti anni fa era tutt'uno con la prov. di Novara). Ora, già il di Rovasenda nel suo aureo Saggio annotava: ""Uva rara" - Voghera - identica alla "Bonarda" di Gattinara e Cavaglià. Non la direi "Bonarda"; preferisco il nome di "Uva rara", com'è realmente il suo grappolo". Già qualche anno prima (1873) lo stesso di Rovasenda, in un'ampia, interessante monografia su la "Bonarda nera", poneva bene in evidenza le sostanziali differenze fra questo vitigno e quello che noi consideriamo la vera "Bonarda", diffusa da tempo fra i colli di Torino e quelli dell'Astigiano e del Monferrato. Egli però propendeva allora per chiamare quella novarese col nome di "Balsamea", sotto il quale egli l'aveva ricevuta da varie fonti (fra cui dall'Odart!). Aggiungeva che riteneva che ad essa si dovessero riferire le descrizioni della "Bonarda" fatte dal Prof. Milano per le uve biellesi, e dal Dott. Gatta per quelle di Ivrea. Oggi, noi non possiamo che sottoscrivere pienamente alla opinione espressa dal grande ampelografo dell'Ottocento circa l'identità dell'"Uva rara" con questa pseudo "Bonarda". Un altro insigne ampelografo, il Molon, nella sua Ampelografia, preferì invece descrivere questo vitigno sotto il nome di "Bonarda di Gattinara", pur citando, come primo dei suoi vari sinonimi, quello di "Uva rara" (Voghera). Fra gli altri sinonimi (o nomi errati) egli ricorda i seguenti: "Rairon" (Casteggio) e "Rairone" (Groppello), che evidentemente sono varianti di "Uva rara"; "Martellana" (Stradella), "Oriola", tuttora usato nella zona di Borgomanero (con le varianti di "Oriana" e "Orianella"), "Foglia lucente" (sul Lago di Como); "Balsamina nera" o "Balsamea": nomi talora erroneamente attribuitile nel Novarese e altrove; "Raplum" (grappolone), talora usato ad Oleggio. Quest'ultimo nome è però anche attribuito alla "Durasa di Mezzomerico", che è tutt'altra cosa. L'erronea sinonimia di "Balsamina nera", che è ricordata anche da Mas et Pulliat nel loro Vignoble, è forse dovuta ad una supposizione dell'Incisa, che, nominando la "Balsamina nera del Piemonte", aveva detto che "potrebbe essere la "Bonarda di Gattinara"". Però più tardi lo stesso Pulliat, nelle sue "Mille variétés de vignes" descrisse i due vitigni ("Balsamina" e "Uva rara") come indipendenti fra loro. Comunque, il Molon adottò il nome di "Bonarda di Gattinara", aggiungendo che potrebbe anche accettarsi quello di "Bonarda novarese". Sotto il nome di "Bonarda" senz'altre aggiunte, questo vitigno è stato accuratamente descritto fra i vitigni novaresi (e tale descrizione è stata letteralmente riportata dal Molon) nel Bollettino Ampelografico del 1879 in un'ampia relazione, presentata dallo stesso di Rovasenda, sui lavori della Commissione ampelografica della prov. di Novara; mentre in un Elenco dei vitigni della prov. di Pavia (comune per comune), pubblicato nello stesso Bollettino Ampelografico del 1881 figura talora sotto il nome di "Bonarda", tal'altra sotto quello di "Rara" o "Rairone". In un Catalogo ragionato di una Mostra d'uve tenuta in Como nell'ottobre 1890 per cura di quella Commissione Ampelografica provinciale esso figura come "Uva rara" (con sinon. di "Bonarda") nel Circondario di Varese, "Bonarda di Gattinara, Orianella, Balsamina" in alcuni paesi del Novarese. E potremmo continuare nelle citazioni per dimostrare quanto questi due nomi d'"Uva rara" e di "Bonarda" siano stati e vengano tuttora largamente usati per indicare lo stesso vitigno. Ma poiché il nome di "Bonarda" è già attribuito a svariati vitigni, più o meno analoghi fra loro, non sembra giustificato adottarlo anche per questo, che dalla vera Bonarda si differenzia nettamente. Concludendo: noi riteniamo che il nome legittimo di questo vitigno debba essere quello di "Uva rara", che se si volesse conservare il sinonimo di "Bonarda" (Novarese o di Gattinara o di Cavaglià) bisognerebbe però, a scanso di equivoci, aggiungere l'aggettivo "falsa"... (il che probabilmente non suonerebbe gradito a coloro che l'hanno usato finora).

Descrizione Ampelografica

Per la descrizione che segue furono utilizzati tre cloni, due dei quali (situati l'uno in provincia di Novara, nel comune di Boca, e l'altro in provincia di Pavia, nel comune di Casteggio) vennero descritti contemporaneamente nel 1959, mentre il terzo (situato pur esso in provincia di Novara, nel comune di Ghemme) era stato descritto in precedenza per cura dell'Ispettorato agrario provinciale di Novara. Inoltre, specialmente nel periodo che intercorre tra lo sviluppo completo delle foglie e la maturazione dell'uva, vennero stabiliti dei confronti tra i caratteri dei predetti cloni e quelli di altri ceppi dello stesso vitigno posti nelle località considerate. La presente descrizione ampelografica ha potuto essere agevolmente concordata in un testo unico, perché fra i caratteri dei tre cloni non si notarono differenze di qualche importanza. Le poche e lievi differenze riscontrate (riguardanti essenzialmente le foglie ed i tralci erbacei) vengono segnalate nel corso della descrizione stessa.

Germoglio di 10-15 cm

Figura 1: Apice di Uva Rara.

Apice: espanso, cotonoso, bianco, con orlo carminato leggero.

Foglioline apicali (dalla 1a alla 3a): a coppa o a gronda, cotonose: di più sulla pagina inferiore; sulla pagina superiore talvolta la tomentosità diminuisce rapidamente dalla prima alla terza fogliolina. Color bianco (per il tomento) con bordi carminati; sulla terza fogliolina (pagina superiore) appare il color verde chiaro con riflessi bronzei.

Foglioline basali (dalla 4a in poi): a coppa o a gronda nei cloni novaresi, a coppa nel clone pavese. Cotonose sulla pagina inferiore, quasi glabre sulla pagina superiore. Color verde con riflessi rameici sulla pagina superiore, bianco (per il tomento) sulla pagina inferiore.

Asse del germoglio: leggermente ricurvo.

Germoglio alla fioritura

Apice: espanso (a volte medio nei cloni novaresi), cotonoso; bianco con orli carminati.

Foglioline apicali: spiegate o quasi (le prime due leggermente a coppa o a gronda nel clone pavese); cotonose. Colore: con riflessi fulvi o rameici, visibili attraverso il biancore del tomento, prevalente nella pagina inferiore.

Foglioline basali: piegate leggermente a coppa o a gronda, con bordi che tendono per lo più a volgersi in basso. Glabre sulla pagina superiore, leggermente feltrate sulla pagina inferiore. Colore: sulla pagina superiore verde chiaro (volgente al fulvo nei cloni novaresi); sulla pagina inferiore bianchiccio (per il tomento) su sfondo verde chiaro.

Asse del germoglio: ricurvo a pastorale.

Tralcio erbaceo: a sezione trasversale circolare; contorno liscio (o quasi liscio nel clone pavese); praticamente glabro (qualche raro pelo lungo, specialmente notato nel clone di Ghemme); color verde, rosso vinoso dalla parte soleggiata, uniformemente diffuso; internodi medio-corti.

Viticci: intermittenti. Formula: 0-1-2-0-1-2-0...(primo viticcio sul 6° nodo dall'inserzione). Bifidi o trifidi, medi, di color verde chiaro con sfumature rosse verso la base.

Infiorescenza: piuttosto grande, conica, alata.

Fiore: bottone fiorale piriforme-cilindroide, mezzano. Ermafrodita. Corolla a cappuccio, verde bronzata; apertura normale.

Figura 2: Foglia di Uva Rara.

Foglia adulta: grandezza media; forma pentagonale; quinquelobata. Seno peziolare a lira; seni laterali superiori per lo più a lira chiusa, spesso con bordi sovrapposti, più raramente ad U; seni laterali inferiori ad U od a lira, talvolta a V. Pagina superiore praticamente glabra (qualche raro pelo lungo); pagina inferiore cotonosa anche sulle nervature di 1°-2°-3° ordine. Lembo generalmente piano (talvolta piegato a gronda nei cloni novaresi). Lobi piani, spesso con bordi un po' revoluti; angolo della sommità dei lobi terminali acuto. Superficie del lembo per lo più liscia (talvolta un po' vescicolosa nei cloni novaresi). Colore delle nervature principali: sulla pagina superiore, verde; sulla pagina inferiore, verde chiaro (con qualche lieve sfumatura rosea nel clone pavese). Denti laterali di media grandezza, irregolari, a base larga, con margini rettilinei. Lamina fogliare di colore verde più o meno carico sulla pagina superiore, verde chiaro sulla pagina inferiore; opaca; nervature di 1°-2°-3° grado sporgenti, piane le altre.

Picciolo: medio-corto (poco più corto della nervatura mediana): di media grossezza; con tomento aracnoideo; a sezione trasversale con canale poco evidente; di color verde chiaro con sfumature rosso vinose.

Colorazione autunnale delle foglie: verde con macchie e striature gialle.

Acino erbaceo: sferoide, ma abbastanza frequentemente discoide.

Figura 3: Grappolo di Uva Rara.

Grappolo a maturità industriale: grandezza media (il volume dei grappoli è, in questo vitigno, piuttosto variabile). Mediamente compatto o sciolto (anche questo carattere è mutevole, per quanto la tendenza alla scioltezza sia evidente). Allungato, conico, alato (a volte conico senza ali, o talora anche piuttosto corto e tozzo). Peduncolo visibile, verde o semilegnoso, piuttosto grosso, di lunghezza pari a circa 1/4 quella del grappolo, che può mediamente ritenersi di cm. 20 - 25.

Acino: medio o medio-grosso; tondeggiante o subellittico, regolare; ombelico prominente, non persistente; sezione trasversale circolare, regolare; buccia pruinosa, abbastanza consistente, ma non coriacea; color turchino carico, quasi nero, regolarmente diffuso; succo incolore; polpa succosa a sapore semplice; pedicello medio-lungo di colore rosso chiaro; cercine evidente di color rosso ruggine; pennello corto e rosso; separazione del pedicello dall'acino non facile.

Vinaccioli: generalmente due per ogni acino, raramente tre, medi, con becco non lungo e non appuntito. Nessun acino è senza vinaccioli.

Tralcio legnoso: lunghezza e robustezza medie; poco ramificato. Corteccia resistente, bene aderente. Sezione trasversale circolare o tendente all'ellittico. Superficie striata con striature non molto rilevate; parzialmente pruinosa. Nodi un po' appiattiti; meritalli medio-corti (però abbastanza variabili: in media di 10 cm.); gemme arrotondate, sporgenti, biancastre per tomentosità. Colore dei meritalli: su di uno sfondo nocciola chiaro, qua e là rossiccio (appena un po' più carico sui nodi) si ha quasi una patina grigio cinerea irregolarmente distribuita, con punteggiature brune non fitte. Cercine peziolare largo, sinuoso, sporgente. Diaframma convesso, spesso; midollo scuro, occupante circa metà del diametro del tralcio.

Tronco: robusto (o mediamente robusto).

Fenologia

Condizioni d'osservazione: il primo clone (A) si trova nel comune di Casteggio, in località Mairano (prov. di Pavia), in un vigneto dei signori Venco Fratelli, il secondo (B) nel comune di Boca (prov. di Novara), in località Castello, in un vigneto del Comm. Minazzoli Pierino, il terzo (C) si trova nel comune di Ghemme (prov. di Novara) in località Fornace Baragioli, in un vigneto del signor Magistrini Carlo.

Ubicazione

Longitudine: (A) 9° 07' merid. di Roma, (B) 4° 03' ad ovest del merid. di Roma (M.te Mario), (C) 4° 01' ad ovest del merid. di Roma (M.te Mario).

Latitudine : (A) 45° N, (B) 45° 42' N, (C) 54° 36' N.

Altitudine: (A) m. 115 s.l.m., (B) m. 400 circa s.l.m, (C) m. 280 circa s.l.m.

Esposizione: (A) Nord-Est, (B) Sud-sud-ovest, (C) Ovest-sud-ovest.

Portinnesto: (A) 3309, (B) Rip x Rup. 101/14, (C) Berl. x Rip. 420/A.

Età delle viti: (A) 40 anni circa, (B) Anni 35, (C) anni 18.

Sistema di allevamento: (A) a filari piuttosto alti, con branche laterali a guisa di cordoni (senza regola fissa), a circa m. 2 da terra, (B) quello detto localmente "Maggiorino" (dal comune di Maggiora) o "a quadretti". Le viti sono piantate a gruppi di due, alla distanza di m. 4 in quadrato fra i singoli gruppi, e sono allevate a piramide quadrangolare capovolta (ricavando due branche principali da ciascuna vite) fino all'altezza di metri 1,50 - 1,60 da terra, (C) come nel caso precedente.

Forma di potatura: (A) lunga e ricca (una specie di Guyot multiplo, con capi a frutto in generale lunghi e numerosi), (B) lunga e ricca. Schematicamente: da ciascuna branca principale ascendente si fanno derivare (dirigendole orizzontalmente ed in sensi opposti) due branche secondarie, che porteranno i tralci annuali a frutto. Questi variano assai di numero e di sviluppo (secondo la robustezza della branca che li alimenta) e le branche - sia le primarie che le secondarie - hanno durata non definita, dipendente dalla frequenza colla quale il potatore ritiene di dover allevare tralci di sostituzione, (C) come nel caso precedente.

Terreno: (A) di medio impasto, (B) collinare, a lieve pendio. Di natura argillosa (derivante da roccia feldspatica con ossidi di ferro) che non si impasta se bagnato; sciolto, profondo, fresco, di facile sgrondo, (C) Situato in bassa collina. Prevalentemente argilloso, derivante da remota bonifica di brughiera, profondo, poverissimo di calcare, a reazione subacida.

Fenomeni vegetativi

Germogliamento: verso il 20 aprile.

Fioritura: 10 - 15 giugno.

Invaiatura: verso il 15 agosto.

Arresto dell'accrescimento dei tralci: 5 - 10 agosto.

Maturazione: tra la III e la IV epoca (5-10 ottobre).

Caduta delle foglie: dalla fine di ottobre alla metà di novembre.

Caratteristiche ed Attitudini colturali

Vigoria: notevole, senza però carattere di eccezionalità. Richiede potatura lunga ed abbastanza ricca. E' adatta per sistemi di allevamento espansi quali vengono tradizionalmente praticati nelle zone viticole considerate; sistemi che, per altro, sono suscettibili di perfezionamenti o di radicali sostituzioni.

Produzione: nelle zone viticole delle provincie di Novara e Vercelli, i pratici fanno distinzione tra due sottovarietà di questo vitigno: l'una a gemme bene sviluppate e sporgenti, l'altra con caratteri opposti (detta localmente "a gemme corte"); ed eliminano accuratamente la seconda, come meno produttiva. Probabilmente per effetto di tale continua selezione, oltre che per condizioni d'ambiente particolarmente favorevoli, nelle suddette provincie la produttività dell' "Uva rara" è regolare e discretamente abbondante. In provincia di Pavia si lamenta invece una produzione di solito meno che normale, a causa della colatura, che è così frequente ed accentuata da rendere i grappoli eccessivamente spargoli. Nell'Oltrepò pavese, pertanto, converrebbe - poiché il vitigno è pregevole - impostare una accurata selezione, anche eventualmente con importazione di marze dalla provincia di Novara.

Posizione del primo germoglio fruttifero: sul secondo o terzo nodo (anche sul primo, nel clone pavese).

Numero medio di infiorescenze per germoglio: per lo più due; abbastanza sovente anche tre.

Fertilità delle femminelle: saltuaria, ma senza importanza pratica.

Resistenza alle avversità: ha resistenza normale alla peronospora, scarsa all'oidio. Va soggetta (specialmente nelle primavere piovose e fredde) alla colatura dei fiori; inconveniente, però, che - come s'è detto - è assai più lamentato nella zona viticola pavese che non in quella novarese-vercellese. Resiste abbastanza bene alle percosse della grandine (rimargina senza marcire) ed al marciume dell'uva, anche in fruttaio.

Comportamento rispetto alla moltiplicazione per innesto: l'attecchimento per innesto e l'affinità coi portinnesti americani appaiono in generale buoni, non ottimi. I portinnesti più usati sono attualmente il Kober 5 BB ed il 420/A. Nel Novarese si ricorre ancora al 3309 ed al 101/14, mentre la Rupestris du Lot (già assai usata per questo ed altri vitigni) è in abbandono.

Utilizzazione

L'"Uva rara", vinificata da sola, dà un vino da pasto discretamente alcoolico, di poco colore e di relativamente scarsa acidità, con profumo caratteristico gradevole. Praticamente, tuttavia, nel Novarese-Vercellese questo vino viene preparato solo in piccoli quantitativi per uso familiare, e nell'Oltrepò pavese, dopo aver tentato - con l'"Uva rara" - la confezione di vini rosati, vi si rinunciò, avendo ottenuto prodotti troppo scialbi, per scarsezza di acidità e di tannino. Normalmente la vinificazione di quest'uva viene fatta in mescolanze, con quelle di altri vitigni e in proporzioni solo di rado preventivamente stabilite.